Bruno Beltrami nasce a Mantova il 5 maggio 1943, secondo di cinque fratelli. Fin da bambino viene istruito nell'arte del disegno e della pittura, insieme al fratello maggiore Nerio, dal padre Edoardo, pittore autodidatta. Frequenta la scuola d'arte di Mantova, dimostrando buone doti naturali. A 16 anni partecipa alle selezioni provinciali dell'ENAL e per due anni le sue opere vengono avviate alla manifestazione nazionale. Di carattere istintivo ed introverso, quando però si rende conto dell'indirizzo "politico" che governa l'ambiente artistico mantovano, decide di non esporre più le sue opere, motivo per cui è rimasto fino ad ora sconosciuto al grande pubblico.
Gli impegni della vita privata lo allontanano a lungo dall'attività pittorica, alla quale si dedica saltuariamente, anche a causa dell'incostanza e dell’incapacità di approfondimento sistematico dei temi e dei generi che via via affronta.
Partito dall'opera del padre, chiarista intimista innamorato del paesaggio mantovano, e dalle varie correnti della pittura della prima metà del Novecento italiano, arriva solo più tardi ad una maturazione personale che lo porta ad affrontare i grandi temi del XX secolo, quali la solitudine (incomunicabilità), il rapporto uomo natura (incompatibilità). È il periodo in cui si acuisce maggiormente la contraddizione tra l'amore per il bello, sia dei paesaggi che del corpo umano (sovente in forma ironica), e il bisogno di denuncia di ciò che l'uomo commette contro l'ambiente (animali e fiori compresi) e, in ultima analisi, contro sé stesso.
Con la piena maturità, sia psicofisica che artistica (invecchiamento), raggiunge un certo equilibrio e le sue opere si fanno più morbide e piacevoli, anche se il tema dominante resta invariato, quasi prevalesse un senso di ineluttabilità del futuro del pianeta. Per quanto riguarda il "sentire" pittorico poetico di Beltrami, egli ama definirsi un romantico che ha sbagliato secolo. È contrario alle "mode artistiche", per lui non esiste il "superato", ogni genere è valido se buono e viceversa. È convinto che ciò che fa di un'opera un'opera d'arte non sia definibile e che nemmeno l'autore sappia come ciò avvenga: è il concetto romantico di ispirazione.
Le sue opere d’altronde non sembrano seguire nessuno schema definibile, non hanno continuità storica, in quanto egli non riesce a ripetersi, ma trae semplicemente spunto da ogni evento che lo colpisce (come un osservatore esterno che vive ai margini della civiltà) per sintetizzare le proprie emozioni sulla tela. Prevale quindi il bisogno di esprimere pittoricamente il soggetto-avvenimento-sensazione piuttosto che mantenersi fedele ad uno stile.